Gli affreschi di Lazzaro Tavarone

Secondo quanto riportato nella sua “Cronaca” dal carmelitano Padre Agostino Schiaffino, che allora era presente nel Convento di Monte Oliveto, “li 11 aprile 1634 i confratelli di detto Oratorio danno principio a far dipingere (esso) loro oratorio da Lazzaro Tavarone con spesa di £ 900 e oltre altre spese.”
Il Tavarone realizzò sulla parete del coro il ciclo di affreschi sui tre momenti significativi del Giovedì Santo: la lavanda dei piedi, l’Ultima Cena, l’orazione nell’orto degli ulivi.

Sul piedistallo della colonna nella parte destra dell’affresco del Cenacolo il Tavarone riportò la data 1634 e per esteso il proprio nome:

LAZARUS TAVARONUS PINXIT ANNO DNI MDCXXXIV

(Lazzaro Tavarone dipinse Anno del Signore 1634)

Da notare che, invece, nella parte inferiore dell’ovale affrescato sulla volta con i due Santi “palmiferi”, è presente solo la sigla LTF (Lazzaro Tavarone Fece) e l’anno 1631.
Sulle pareti laterali dipinse otto episodi della vita dei SS. Nazario e Celso, rappresentando in quella di sinistra dal fondo verso l’altare:

  1. il battesimo di Nazario ad opera di Papa Lino;
  2. Nazario che distribuisce i suoi averi ai poveri;
  3. Nazario che predica la fede di Cristo (tra i fedeli, un attento piccolo Celso e la madre);
  4. il processo e la condanna;

e in quella di destra dall’altare verso il fondo:
  1. il mare in tempesta che si placa per le preghiere dei due santi;
  2. lo sbarco dei due santi sulla spiaggia della Foce a Genova;
  3. Nazario che promuove la costruzione di chiese lungo i paesi della Riviera di Ponente;
  4. Sant’Ambrogio che, a Milano, ritrovati i corpi, li fa trasportare all’interno della città.

Sotto a ciascun affresco c’è un cartiglio con una sintetica presentazione in latino della scena rappresentata.
Si può ipotizzare che il pittore nello scegliere gli episodi da rappresentare abbia potuto confrontarsi proprio con Padre Schiaffino, che alla vita dei due Santi aveva dedicato 11 pagine dei suoi Annali ecclesiastici della Liguria, ove aveva riportato e commentato quanto altri autori, tra i quali Jacopo da Varagine (Varazze), avevano scritto al riguardo.
In tutte le scene sono presenti anacronismi, cioè particolari (costumi, tipologie costruttive, paesaggi …) non dei primi anni del Cristianesimo, ma di quei primi decenni del Seicento, quindi, facilmente riconosciuti dai Multedesi del tempo, mentre noi per leggerli correttamente dobbiamo ricorrere all’aiuto delle fonti scritte ed iconografiche.